domenica 28 dicembre 2014

Recensione: "Venuto al mondo" di Margaret Mazzantini


Titolo: Venuto al mondo
Autore: Margaret Mazzantini
Edizione: Mondadori Numeri Primi
Prezzo: 12,00€
Trama: Una mattina Gemma sale su un aereo, trascinandosi dietro un figlio di oggi, Pietro, un ragazzo di sedici anni. Destinazione Sarajevo, città-confine tra Occidente e Oriente, ferita da un passato ancora vicino. Ad attenderla all'aeroporto, Gojko, poeta bosniaco, amico, fratello, amore mancato, che ai tempi festosi delle Olimpiadi invernali del 1984 traghettò Gemma verso l'amore della sua vita, Diego, il fotografo di pozzanghere. Il romanzo racconta la storia di questo amore, una storia di ragazzi farneticanti che si rincontrano oggi invecchiati in un dopoguerra recente. Una storia d'amore appassionata, imperfetta come gli amori veri. Ma anche la storia di una maternità cercata, negata, risarcita. Il cammino misterioso di una nascita che fa piazza pulita della scienza, della biologia, e si addentra nella placenta preistorica di una guerra che mentre uccide procrea. L'avventura di Gemma e Diego è anche la storia di tutti noi, perché questo è un romanzo contemporaneo. Di pace e di guerra. La pace è l'aridità fumosa di un Occidente flaccido di egoismi, perso nella salamoia del benessere. La guerra è quella di una donna che ingaggia contro la natura una battaglia estrema e oltraggiosa. L'assedio di Sarajevo diventa l'assedio di ogni personaggio di questa vicenda di non eroi scaraventati dalla storia in un destino che sembra in attesa di loro come un tiratore scelto. Un romanzo-mondo, di forte impegno etico, spiazzante come un thriller, emblematico come una parabola.
Ci sarebbero tantissime cose da dire di questo romanzo, talmente tante che davvero non so da dove iniziare. Potrei iniziare dalla trama, allora. Dalla storia, dai personaggi. Dai temi.
 
"Venuto al mondo" è un romanzo complesso, che tocca molteplici temi: la famiglia, l'amicizia, l'amore, la guerra, la morte, la vita, la speranza.
Margaret Mazzantini racconta una brutta storia, in un romanzo affollato da grandissime personalità. E racconta questa storia con realismo, crudeltà, aridità. E' una storia che arriva allo stomaco, più che al cuore, una storia che fa male dentro. Una storia in cui immergersi per non uscirne più, o per uscirne totalmente diversi, cambiati.
 
Il romanzo si apre col ritorno di Gemma a Sarajevo, col figlio sedicenne Pietro. Figlio di un segreto, figlio della guerra, figlio nato dalla morte e dalla sofferenza, figlio recalcitrante a tornare nella terra dov'è morto quel padre che non ha mai conosciuto, quel padre che, in fin dei conti, Pietro non avverte come tale. E' sua madre a trascinarlo in questo viaggio attraverso i ricordi di un passato che non può tornare indietro.
Ma torniamo invece indietro con un flashback di circa 20 anni, analizziamo i personaggi con calma. Torniamo alle origini.
La storia è quella di una giornalista trentenne, Gemma, dell'incontro con l'amore, a Sarajevo, col fotografo Diego, poco più che ventenne, con la vita negli occhi e la speranza nel cuore. Giovane, fresco, incosciente, tutto ciò che Gemma, alla tutto sommato giovane età di 29 anni, non sente più di essere.
Tramite tra i due è un poeta bosniaco, Gojko, amore mancato di Gemma, compositore di mille versi aridi e implacabili, guardiani di verità innegabili, versi sulla vita e sulla morte, sull'amore e sull'odio. Gojko, che ha tre grandi amori: la sua Sarajevo, sua madre, che somiglia a Lady D., e la sorellina Sebina, che da grande sarà una campionessa di ginnastica artistica alle Olimpiadi. Quanto alle altre donne... Gojko è un cuore libero e solitario, generoso. C'è posto per tutte.
Personaggio chiave del romanzo, il giovane fotografo regala vita ai giorni -un tempo piatti e tutti uguali- di Gemma, donna straordinariamente fragile e complessa, che coltiva in sé un desiderio quasi ossessivo, insano e morboso di maternità. Un desiderio che risulta irrealizzabile., che le fa vedere la vita in ogni ventre femminile, una sconfitta nel suo utero irrimediabilmente vuoto, nessun senso in una vita che non può moltiplicarsi.
 
"Non sarò mai una madre. Resterò per sempre una ragazza. Invecchierò così, asciutta e sola. Il mio corpo non si trasformerà, non si moltiplicherà. Non ci sarà Dio. Non ci sarà raccolto. Non ci sarà Natale. Bisogna cercare nel mondo, nella sua aridità, nelle sue strettoie il senso della vita... in questi negozi, in questo traffico. Invecchierò così."
 
Diego e Gemma, così diversi, sono quel che all'apparenza si può definire una coppia male assortita. Tuttavia vi è fra loro quell'amore grande, incondizionato, folle, se vogliamo, di una coppia affiatata che rinnova il suo amore ogni giorno, contro il mondo intero, se necessario.
 
"Niente, era per dirti che gli amori che sembrano assurdi certe volte sono i migliori."
(Diego a Gemma)
 
Dal canto suo, il giovane fotografo, il grande amore di Gemma,  è un personaggio, se vogliamo, ancor più complesso: Diego è il ragazzo dall'enorme sorriso triste sul volto piccolo e magro, le gambe sottili, quegli scatti ermetici, così difficili da interpretare, porta la sua fotocamera come una lente attraverso cui leggere e decodificare la realtà, come un Vangelo per spiegarla e renderla più bella, o come una croce, per accollarsene la bruttezza, la crudezza, l'aridità.
Diego vive in un mondo a sé, impenetrabile e segreto. Si muove in una Sarajevo sotto assedio portando la fotocamera così come si porterebbe un'arma. Non credetelo tuttavia un eroe: Diego è un uomo con le sue fragilità, le sue debolezze, in grado di chiudere gli occhi quando non ha obiettivo della fotocamera a permettergli di filtrare una realtà che fa troppo male.
 
Anche qui, nel racconto dell'assedio di Sarajevo, si rivela la potenza della narrazione di Margaret Mazzantini, che evoca con maestria atrocità spesso dimenticate, le vittime della guerra diventano reali e non più qualcosa di astratto, relegato ai libri di storia.
Nel romanzo echeggiano le voci delle guerre jugoslave, della resistenza, dei ribelli, degli invasori e degli assediati. E' una storia scomoda, in un certo senso, perché ci porta a pensare a genocidi ai quali non pensiamo.
L'umanità è così abitata a pensare alla soluzione finale del problema ebraico, se si pensa ad un olocausto, ad Auschwitz, se si pensa ad un campo di concentramento. Si tende a dimenticare avvenimenti altrettanto atroci che si sono verificati ben poco tempo fa, tacciono silenziosi in un angolino della nostra coscienza o, peggio ancora, tali avvenimenti non si conoscono. Dimentichiamo che le morti hanno tutte pari dignità, che le tombe bianche dei bambini morti sono tutte ugualmente strazianti: il bambino blu, sparato da un cecchino e lasciato al gelo nella neve, che Gemma scopre all'obitorio, e il bambino col pigiama a righe evocato nell'omonimo romanzo di John Boyle.
Lasciamo che le parole di Margaret Mazzantini ce lo ricordino, allora.
 
x5
Giorgia Blogger

2 commenti :

  1. "Venuto al mondo" l'ho incontrato tanti anni fa, ma l'avevo interrotto dopo poche righe (non ricordo nemmeno più il perché). Con questo post ne hai tracciato un bel dipinto, e mi hai fatto venire voglia di riprenderlo in mano. Lo segno, e spero che nel 2015 trovi il suo posticino tra le mie letture :-)

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    Risposte
    1. Sono contenta di averti convinto <3
      Non credo ti pentirai di leggerlo, dopo l'ostacolo iniziale (so che all'inizio è piuttosto "lento", ha scoraggiato anche me, questa cosa!) è davvero un bellissimo romanzo...

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